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I preludi nell'Opera di un Autore Secentesco

(G. D. Oltrona Visconti)

 

L'abbondanza di notizie e dettagli forniti da Girolamo Brusoni relativi agli avvenimenti locali che culminarono nello scontro di Tornavento ci autorizza a citare qui le sue Historie momorabili delleGuerre d'Italia, impresse a Venezia nel 1656 e dedicate alla «Real Maestà di Christina Serenissima Reina di Svezia». 

É un volume oggi rivalutato e di nuovo presente sul mercato antiquario ad un prezzo - stante la sua rarità - decisamente proibitivo. 

Ma giustifica la nostra citazione anche il fatto che il Brusoni fu in pratica testimone oculare della fase lombarda, anzi gallaratese, della Guerra di Trent'Anni. Il suo racconto, prolisso secondo l'uso del tempo, coincide infatti e si integra col contenuto dei documenti finora conosciuti e resi noti a partire circa dagli anni '50. 

Giustifica, inoltre, la menzione altra circostanza, cioè che l'antico autore mostra di conoscere bene il nostro territorio (tanto che vien da immaginarlo «corrispondente di guerra» ante litteram, penna a taccuino in mano) e discorre di paesi, località, cascine, rogge, mulini i quali, se dicono poco o nulla agli scrittori «foresti», dediti ai grandi problemi non meno che ai grandi personaggi, sono invece arcinoti e del tutto familiari a noi che, gelosi delle memorie patrie, nel territorio stesso viviamo e operiamo. 

Disegno della Battaglia che L. Melzi trasse nel 1880 circa da un dipinto commemorativo di fantasia, allora custodito presso la Villa Parravicino di Tornavento. Da notare gli errori: data della Battaglia al 22 Luglio anzichè al 22 Giugno; presenza del Ducadi Rohan

(segnato F), che in quei giorni invece era impegnato in Valsassina, nel Lecchese e nella valle di Porlezza.

Il fronte alpino 
Certo, il discorso fatto sopra anche anche per la Valtellina, dalle cui alte montagne scenderemo con Francesi e alleati via lato a Bellano in Valsassina (la strada costiera non esisteva ancora), poi a Lecco e al suo porto sbarrato da catene, indi alla pianura propriamente milanese sotto il domino del «Re Cattolico» per arrestarci da ultimo - ora idealmente al seguito dell'Armata Spagnola - alle rive del fatal Ticino. 

Nel senso, dicevamo, che anche in Valtellina la conoscenza dei luoghi minori attira l'attenzione degli studiosi ed è incentivo primario alla «lettura» di eventi non sempre positivi e lieti. Per esempio, nel corso della Campagna del Duca di Rohan (estate 1635) - e occorre meditarla questa famosa Campagna perchè necessario antefatto di quanto sarebbe accaduto l'anno successivo a Tornavento e dintorni - si ricordano nomi di paesi e vigneti danneggiati o distrutti dalla guerra parimenti si citano località che il forestiero, con tutta la buona volontà, non è in grado di identificareEcco allora l'utilità di referti come quelli dianzi accennati del Brusoni. Opere che ci conducono nel vivo dei fatti lontani e nel cuore diciamo così di sofferenze e drammi. Opere che pongono spesso in giusta luce, pur non seguendo alla lettera, perchè non usava, il dettato delle carte originali, i frutti acquisiti (con una vittoria) o i danni sofferti (causa una sconfitta sul campo) dalle genti di questa o quest'altra potenza. 

Riassunta dunque in poche righe la battaglia campale di Morbegno - ultimo sanguinoso episodio della Campagna valtellinese, combattuta l'11 novembre 1635 - il Brusoni scrive:«... Divenuto il Duca di Roano emolo del Crèquì, che con perpetue scorrerie teneva in terrore il paese nemico e s'arricchiva delle sue prede, determinò d'uscire dalle sue tane in Valtellina per piantare un piede nel territorio di Como... Crebbe (così) lo spavento de' Milanesi, prosegue il nostro autore, la fama (leggi la notizia), purtroppo vera, che il Duca di Roano fosse penetrato, con discacciare da alcuni posti il presidio spagnolo, nella Valsassina, dove (fece) grandissime prede... 

Commossi allora da tanti rumori d'avversa fortuna, i più principali Senatori e Cavalieri milanesi (sic) si portarono dal Gran Cancelliere don Antonio Ronchillo pregandolo di qualche prov(v)isione a tanto sconvolgimento di cose...»: chiamata cioè alle armi di tutti i cittadini «capaci», rafforzamento urgente dei bastioni, guardie ai medesimi, appelli alla resistenza e così via. Una situazione, insomma, che i documenti dell'Archivio di Simancas in Spagna, illustrati da chi scrive nel 1970 sulla «Rassegna Gallaratese» confermano alla lettera.Da quanto sopra emerge inoltre come la mitica figura del Rohan che sbuca dalle sue «tane» alpestri turbasse, quale simbolo della guerra e dei danni ch'essa si porta dietro, i sonni dei Milanesi e dei loro capi a tre settimane dallo scontro di Tornavento! 

Appoggia ora il racconto del Brusoni un manoscritto che citiamo perchè inedito, si noti, e fortuitamente rintracciato fra i carteggi della Società Storica Lombarda. L'autore è anonimo e il «pezzo», purtroppo alquanto deteriorato, ha per titolo: Relatione suc(c)inta del seguìto in Valtel(l)ina questi giorni passati, cioè la tarda estate-autunno 1635.Era il tempo in cui le vittoriose truppe del Rohan si concentrarono nel piano di Colico, nell'alto Lario, sia per predisporre gli accampamenti invernali, sia per concertare un balzo verso Milano nel nuovo anno e congiungersi così verso i Franco-Sabaudi i quali, secondo i pianidi guerra, avrebbero dovuto a tempo opportuno avanzare a loro volta e varcare Sesia e Ticino. 

«Già si sa - esordisce l'anonimo - quanto importante sia il passo della Valtel(l)ina per conservatione del Stato di Milano et cose di Germania, poichè per quella (valle) si vengono a dare mano agli Stati Austriachi, pigliando dal tirolo per venire aMilano. Per(ci)ò devesi sapere che Valtel(l)ina et Val Chiavenna e Agnadina et insomma tutt'il Paese comandato da Grigioni ora è in mano a' francesi, stati chiamati da essi come protettori et fautori della causa loro...». 

Indi l'anonimo - che era spagnolo, evidentemente, perchè scrive sempre con la f minuscola il nome di quei Francesi che oltretutto erano stati fino a quel momento nettamente vittoriosi sulgi Spagnoli negli scontri sulle montagne - indugia in considerazioni sugli sviluppi del conflitto, sulla contingente sfortuna delle armi, sulle eccelse virtù del Re Cattolico ecc.S'interrompe tuttavia, diciamo così, sotto le mura di Lecco e alla testa di quel ponte dove i Francesi stessi dovettero fermarsi il 31 maggio 1636 per le incognite del lungo cammino che li attendeva e per inadeguatezza dei uomini e mezzi. Ma dovettero fermarsi - e val la pena di ricordarlo anche per le violenze di cui, come al solito, fu vittima l'inerme popolazione - per via delle famigerate o provvidenziali catene (a seconda dei punti di vista!), o «cadenoni» come si legge nei documenti coevi, sospese o immerse nel lago, accorgimento che avrebbe tranciato gli scafi delle «navi» di chi traghettava. 

La calata su Milano dal fronte alpino era perciò scongiurata. 

Il fronte padano

«... Occupato Fontané (oggi Fontaneto d'Agogna) - è sempre il Brusoni che scrive - (si) misero i Collegati in consulta a quale impresa dovessero cimentarsi, se nell'assedio del Forte Sandoval o pure della città di Novara, ma in questa dubietà di partiti aprì loro la fortuna la strada a maggiori intraprese». Ci narra in sostanza l'episodio del «passatore» che, ingannato e poi senza tanti complimenti ucciso, traghetta sulla sponda sepriese del Ticino, all'altezza della Casa della Camera, dei soldati di parte francese «tutti adornati di bande rosse» per fingersi Spagnoli, e la ricognizione da costoro compiuta verso la brughiera e Lonate, in un territorio disabitato, «essendosi egli abitanti ridotti ne' luoghi forti».Tutto ciò - dice il Brusoni - mentre «avrebbe tolto l'armi galliche dal vile impiego di guerreggiare solamente co' paesani per dispogliarli degli armenti e delle biade, apriva loro il seno verso una strada facile da inoltrarsi nelle viscere del paese nemico» (sic). Si fortificarono comunque a TORNAVENTO «sulla sinistra sponda del Ticino, allungando gli alloggiamenti e le trincere in una larga pianura piena di sterpi e spine», «dove stava situata una profonda fossa cavata già da' Francesi e da' paesani chiamata Pan Perduto, che oggidì ancora si conserva e dura», senza tuttavia approfittare della sorpresa - osserva il Brusoni, concordando con le relazioni al Re di Spagna dal Marchese di Leganes, Governatore di Milano - e scorrere impunemente o quasi fino alle porte della capitale. 

Frammento occidentale della tavola «Ducato di Milano», una delle 60 tavole che compongono l'atlante «Italia», lavoro pluriennale del padovano Giovanni Antonio Magini pubblicato nel 1620, considerato - nonostante imprecisioni, errori ed omissioni - la descrizione più esauriente della penisola prima della cartografia geodetica. Indicati con circoletto località minori, segnalati con edifici stilizzati i centri più importanti (capoluoghi di pieve, sedi di mercato, ecc.). La toponomastica riflette pronuncia e grafia dell'epoca. Si individuino, in quanto sprovvisti di denominazione nella carta, il tratto meridionale del Lago Maggiore e il Ticino, suo emissario. Si osservino lo strano corso del torrente Arno erroneamente confuso con lo Strona e- sotto Tornavento - il rivo o fosse forse corrispondente al Panperduto, la Cascina Data in luogo di Castellana, il «fiume» Ticinello ossia il Naviglio Grande.


Tale indugio - in sintesi - consentì agli Spagnoli di uscire dalle basi di Abbiategrasso e marciare col grosso delle forze verso la testa di ponte stabilita dai nemici a Tornavento, sicchè lo scontro degli eserciti, decisivo per le sorti di Milano spagnola, fu inevitabile.Siamo ormai nella seconda metà di giugno e il caldo opprimeva una piana sin arbol, senz'alberi, e con falta de agua, con mancanza d'acqua - così nei dispacci trasmessi a Madrid - condizioni tremende che preso vinsero la resistenza «delle genti abbruciate di sopra dal sole, arse di sotto dal riverbero della nuda terra e circondate da tanti mali e affanni che da ogni parte fioccavano sopra di loro»,... anche se presso un molino si scoprì, ad un certo punto, «una vena d'acqua ristoratrice dove gli uomini corsero tutti a rifuso non solo a bere, ma a bagnarvisi». 

Particolare di planimetria della Roggia Molinara lonatese, anno 1687. Si notino: a sinistra, lungo la roggia, il mulino di Gaggio (segnato P) e la traccia della strada che conduceva al «porto» di Lonate-Oleggio; al centro, vicino alla bocca del Naviglio Grande, la Casa della Regia Camera;a destra, lungo l'alzaia del Naviglio, la Cascina Castellana; poco distante il mulino Nuovo (segnato R). In altro, l'abitato di Tornavento, dominante la valle.


A chi - per concludere - la vittoria? I nostri lettori probabilmente sanno che essa non fu di nessuno e che la situazione politico-miliare nel Milanese e nazioni vicine dopo il '36 restò quella di prima. Quanto ai danni e ai lutti patiti dai Lonatesi leggeremo ora - trascritto da Bertolli nella parte più significativa - il diario di un parroco locale che gli invasori vide di persona constatandone avidità e violenza.Anzi, occorre ricordare che la vittoria, quel 22 di giugno, se la attribuirono - immediatamente - sia gli Spagnoli del Governatore Leganes, sia i Collegati del maresciallo Crèquì e del Duca di Savoia:«... mentre gli Spagnoli, benchè scacciati dalle trincere del Pan Perduto con grandissima strage e partiti da quella campagna senza disturbo alcuno, si vantarono vittoriosi - scrive il nostro autore - i Francesi, per aver sostenuto (leggi conservato) il posto da cui volevano gli Spagnoli scacciarli, pretesero d'aver elli conseguita la vittoria».Il Rohan da parte sua, bloccato come s'è visto al ponte di Lecco, non era potuto avanzare nello Stato di Milano: la sua presenza carismatica al fianco dei Collegiati e soprattutto la sua audacia avrebbero forse vôlto le cose ad altro destino. 

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