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FRANCESI E SPAGNOLI IN ITALIA

Francesi e spagnoli in Italia 

Nel secolo XV, mentre fioriva in Italia la splendida civiltà del Rinascimento, alcune potenti monarchie costituirono in Europa o primi Stati nazionali, tra cui la Francia e la Spagna. 

In Francia la dinastia dei Capetingi, cosiddetta dal suo fondatore Ugo Capeto (987), liberò il territorio nazionale dagli Inglesi con l'interminabile Guerra dei Cento Anni (1337-1453), nella quale rifulse l'eroismo di S. Giovanna D'Arco (1412-1431), detta la pulzella d'Orléans. L'unità nazionale fu rinsaldata dal re Luigi XI (1461-1483), che sottomise i feudatari ribelli ed instaurò la monarchia assoluta

La Spagna raggiunse l'unità nazionale sostenendo contro gli Arabi invasori una lotta secolare, nella quale si distinse il prode Rodrigo di Bivar detto El Cid Campeador (1043 –1099). Alla fine i possedimenti arabi furono ridotti all'Emirato di Granata, a nord del quale si trovavano gli Stati Cristiani d'Aragona e di Castiglia. Il matrimonio diFerdinando il Cattolico d'Aragona con Isabella di Castiglia (1469) portò alla fusione dei due regni cristiani in una potente monarchia, che espugnò Granata (1492), liberò la penisola iberica dai Mori nella celeberrima Reconquista, .e trasformò la Spagna in uno Stato nazionale di grande prestigio e floridezza. 

Alla fine del Quattrocento l'Italia era il primo Paese d'Europa per prosperità economica e splendore di civiltà. La nostra Patria, militarmente debole perchè politicamente divisa, attrasse le cupidigie della Francia e della Spagna, che si contesero la ricca e facile preda con sessant'anni di guerre e distruzioni. Pomo della discordia e pretesto per l'intervento era il Regno di Napoli, che la monarchia spagnola rivendicava come possesso aragonese e sul quale vantava diritti anche la monarchia francese, quale erede degli Angioi

La serie delle invasioni straniere fu aperta dal re di Francia Carlo VIII (1483-1498), ambizioso figlio di Luigi XI, il quale scese in Italia (1494) per occupare il Regno di Napoli. La conquista di Napoli, trascurata da Luigi XI, rappresentava per il giovane monarca un trampolini di lancio per più gloriose imprese in oriente. L'intervento del re francese era stato invocato da Ludovico il Moro, duca di Milano,che gli promise il suo appoggio contro il re di Napoli. Carlo VIII giunse alla testa di 40.000 uomini, provvisti anche di artiglierie, e senza colpo ferire si impossessò di molte città. 
Piero dè Medici (1492-1494) andò incontro al re francese per consegnargli le fortezze di confine e accettare il pagamento di una forte taglia. I Fiorentini, sdegnati per tanta viltà, abbatterono il governo dei Medici e proclamarono la Repubblica. Carlo VIII, entrato spavaldamente in Firenze, minacciò di far «suonare le trombe» per dare il segnale del saccheggio, se la città non avesse pagato le somme promesse da Piero. Ma il gonfaloniere Pier Capponi (o confaloniere era una prestigiosa carica dei comuni medievali e del Rinascimento in Italia, in particolare a Firenze. In questa città il gonfaloniere era uno dei nove cittadini, selezionati per estrazione ogni due mesi, che formavano il governo della Signoria di Firenze. Questi aveva il compito di gestire la giustizia (Gonfaloniere di Giustizia) ed era custode della bandiera della città, che veniva esposta all'estremità di una croce. Per distinguerlo dai suoi otto colleghi, la sua veste cremisi bordata di ermellino era decorata con stelle dorate) sapendo che i Fiorentini erano pronti a insorgere in armi, rispose sdegnosamente: «Voi sonerete le vostre trombe e noi soneremo le nostre campane». 

Il re mitigò le pretese e abbandonò sollecitamente la città, dirigendosi a Napoli, dove entrò (1495) senza incontrare alcuna resistenza, perchè il sovrano aragonese si era dato alla fuga. Carlo VIII aveva dunque trasformato la spedizione militare in una passeggiata ed egli, come disse argutamente il Papa Alessandro VI, suo avversario, aveva conquistato l'Italia «col gesso» per segnare gli alloggiamenti. La facilità dell'impresa e il pericolo di un'egemonia francese allarmarono i Principi Italiani che si strinsero in una salda coalizione, alla quale aderirono la 

Repubblica di Venezia, il papa Alessandro VI, il re Ferdinando il Cattolico e lo stesso Ludovico il Moro. 
Carlo VIII alla notizia che l'esercito della lega si accingeva a tagliare ai Francesi la via del ritorno, tentò una rapida ritirata. Ma a Fornovo (1495) sul Taro, presso Parma, i collegati gli sbarrarono il passo. 
Nel furioso scontro i Francesi furono sbaragliati, ma Carlo VIII riuscì ad aprirsi un varco e a riparare in Francia. Il fallimento dell'impresa assicurò all'indipendenza italiana ancora qualche anno di vita. 

Dopo la cacciata di Piero dè Medici , fu restaurata a Firenze la libertà repubblicana. Fautore e guida della Repubblica fiorentina divenne per quattro anni Gerolamo Savonarola, un frate domenicano ferrarese, che aveva acquistato grande prestigio sulle folle tuonando contro la corruzione dei costumi dai pulpiti di Bologna e di Firenze. Trasferito al convento fiorentino di San Marco durante il governo di Lorenzo il Magnifico, di cui fu sempre irriducibile avversario, s'impose alla cittadinanza per l'austerità della sua vita la sua eloquenza, che non risparmiava nè i Medici, nè il Papa, che era allora Alessandro VI (1492-1503), uno spagnolo della famiglia dei Borgia. 
Firenze si divise ben presto in violenti partiti politici: i numerosi seguaci del Savonarola, detti Piagnoni, erano combattuti dai sostenitori dei Medici, detti Palleschi, per le sei palle dello stemma signorile; si aggiungevano gli Arrabbiati, che erano repubblicani laici e i Compagnacci, che ostentavano una fredda indifferenza religiosa e politica. Proclamata la Repubblica, il Savonarola colle che esse fosse posta sotto la protezione di Cristo Re e impresse alla vita pubblica e privata un carattere di austerità e ascetismo, quasi fosse una teocrazia. Le strade cittadine erano spesso percorse da lunghe processioni e sulle pubbliche piazze ardevano nei falò, detti bruciamenti delle vanità, tutti gli oggetti che intraprendenti giovani avevano strappato alle abitazioni private, come inutili o dannose alla salute delle anime. Ma il consenso della cittadinanza a tutte queste riforme non poteva durare a lungo. 

Il Papa scomunicò il Savonarola e minacciò l'interdetto (punizione ecclesiastica della Chiesa Cattolica che sospende tutte le manifestazioni pubbliche di culto e ritira i sacramenti della Chiesa dal territorio di una città) contro Firenze, se il frate avesse continuato a predicare. I frati francescani sfidarono il Savonarola ad una prova del fuoco che non potè essere terminata per un improvviso temporale. Gli Arrabbiati avuto il sopravvento in città, bandirono il Savonarola da Firenze. Ma prima ancora che egli partisse, la plebaglia assalì il convento di S. Marco e catturò il frate, che fu sottoposto a processo e condannato a morte. 
Fu giustiziato in Piazza della Signoria il 23 Maggio 1498. Scomparso il «Profeta», la Repubblica fiorentina fu retta per un 

decennio dal gonfaloniere di giustizia Pier Soderini (1502-1512), uomo debole ed inetto, che fu illuminato nelle sue gravi responsabilità da un diplomatico abilissimo: il grande segretario Niccolò Machiavelli. 
A Carlo VIII, morto giovanissimo, succedeva il cugino Luigi XII (1498-1515), che riprese la politica espansionistica del predecessore, avanzando pretese non solo sul Regno di Napoli, ma anche sulDucato di Milano. Luigi XII appena sceso in Italia (1499), iniziò la conquista del Ducato di Milano. L'avanzata dell'esercito francese indusse Ludovico il Moro ad abbandonare Milano. Egli fuggì in Germania, dove assoldò un forte contingente di mercenari svizzeri,con cui l'anno successivo tentò la riconquista del dominio perduto. Ma cadde prigioniero di Luigi XII, che lo condusse in Francia, dove morì (1508). Il Ducato milanese fu unito alla Francia sotto un governatore. I mercenari svizzeri, non avendo ricevuto alcun compenso, si impossessarono del territorio di Lugano e Bellinzona, che fu incorporato alla Confederazione Elvetica con il nome di Canton Ticino (1503). Conquistata la Lombardia, Luigi XII pensò di sottomettere il Regno di Napoli. A questo scopo strinse segretamente con Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, il Trattato di Granata (1500) in cui fu stabilito che alla Francia sarebbe toccata la parte settentrionale del Regno conquistato e alla Spagna la parte meridionale. 

Il Regno fu rapidamente sottomesso per la simultanea invasione di truppe francesi e spagnole e l'ultimo re aragonese di Napoli, caduto prigioniero di Luigi XII, fu esiliato un Francia. Ma ben presto i due alleati vennero alle armi per la spartizione del bottino. Dopo una dura lotta, gli Spagnoli rimasero padroni del Regno di Napoli (1504), che divenne possedimento spagnolo e fu governato da un Vicerè (colui che governa, in rappresentanza del sovrano, una provincia, una colonia o, in generale, una parte del regno) 

Risale a questo periodo il noto episodio della Disfida di Barletta (1503), in cui tredici campioni italiani, al servizio della Spagna, guidati da Ettore Fieramosca, sconfissero altrettanti guerrieri francesi, cancellando l'accusa di viltà. In quegli anni di confusione e di disordine il Papa Alessandro VI approfittò del favore di Luigi XII per assicurare un trono al più ambizioso rampollo della sua famiglia: il giovane 

Cesare Borgia, al quale il re francese conferì il titolo di Duca Valentino e diede in sposa la sorella del re di Navarra. Con l'appoggio del Pontefice e di Luigi XII il Valentino, avventuriero spregiudicato e crudele, abituato a delitti e ai tradimenti, costituì nell'Italia centrale il vasto Ducato di Romagna, spodestando numerosi signorotti locali. Ma questa fortuna, troppo rapidamente costituita, crollò improvvisamente alla morte di Alessandro VI (1503). Cesare Borgia, rifugiatosi in Spagna, morì combattendo sotto le insegne del cognato re di Navarra durante l'Assedio di Pamplona (1507). 
Morto Alessandro VI e crollato il Ducato di Romagna, la Repubblica di Venezia approfittò della debolezza dello Stato Pontificio per estendere il suo dominio sui territori della Chiesa. Le cose mutarono quando fu eletto Papa il Card. Giuliano della Rovere, che prese il nome di Giulio II (1503-1513). Il successore di Alessandro VI fu un uomo di grande energia e nel memorabile decennio del suo pontificato risollevò le sorti della Chiesa e dell'Italia. Contro Venezia, che rifiutava di restituire le terre sottratte allo Stato Pontificio, Giulio II promosse la lega di Cambrai (1508), la prima coalizione europea dell'Età moderna, (ovvero il periodo storico compreso tra la scoperta dell'America (1492) e l'inizio della Rivoluzione Francese (1789) alla quale aderirono la Francia, la Spagna, l'Austria, i Savoia, gli Estensi, i Gonzaga, tutti seriamente preoccupati per la minacciosa potenza della Serenissima. I Veneziani furono sconfitti dai Francesi a Agnadello (1509) sull'Adda, restituirono al Pontefice le terre di Romagna e rinunciarono ad ogni ulteriore espansione in Italia. 


Indebolita Venezia, Giulio II cominciò a preoccuparsi della crescente presenza di Luigi XII nell'Italia settentrionale e, al grido «Fuori i barbari!», chiamò a raccolta tutti gli Italiani, organizzando una grande lega antifrancese, che prese il nome di Lega Santa (1511-1513). Nonostante la maggiore forza delle forze avversarie, i Francesi ebbero in un primo tempo la meglio, guidati dall'abile strategia di Gastone di Foix, ventiduenne nipote di Luigi XII. Ma nella luminosa vittoria di Ravenna (1512), oltre alla morte di Gastone di Foix, vi fu la capitolazione delle migliori forze in campo dell'esercito francese. L'aspra lotta, proseguita con drammatici stravolgimenti di campo, finì con il trionfo della Lega. I Francesi furono definitivamente cacciati dall'Italia e il Ducato di Milano venne assegnato a Massimiliano Sforza, primogenito di Ludovico il Moro. Firenze fu punita per la sua fedeltà alla Francia con l'abolizione della Repubblica e il ritorno dei Medici. Moriva nel contempo Giulio II e diveniva Papa il Card. Giovanni dè Medici col nome di Leone X (1513-1522) per merito del quale il Cinquecento fu chiamato «secolo di Leone X» e «secolo d'oro» della letteratura e dell'arte. 
Morto Luigi XII, salì al trono il genero Francesco I (1515-1547), sovrano intelligente, coraggioso e ambizioso che riprese la politica italiana dei suoi predecessori. Stretta alleanza con Venezia, egli si mosse alla riconquista del Ducato di Milano, dove spadroneggiavano gli Svizzeri. In un violento scontro a Marignano (1515), noto con il nome di Battaglia dei Giganti, sconfisse Massimiliano Sforza, che fu trascinato prigioniero in Francia, dove finì oscuramente i suoi giorni. L'esultanza del re francese per la vittoriosa spedizione italiana fu di breve durata. Contro la Francia si levava minaccioso il nuovo Re di Spagna Carlo V d'Asburgo (1516-1556) figlio di Filippo il Bello d'Austria e Giovanna la Pazza di Spagna. Alla morte del nonno materno Ferdinando il Cattolico (1516), Carlo V ereditò tutti i domini spagnoli (Spagna, Regno di Napoli, con Sicilia e Sardegna, colonie americane). Alla morte del nonno paterno, l'Imperatore Massimiliano d'Asburgo (1519), venne in possesso dei domini austriaci (Austria, Germania, Boemia, Ungheria. Fiandre) e della corona imperiale. Questo impero sconfinato dava modo al sovrano di asserire che «Sui miei domini non tramonta mai il sole». Francesco I bramoso di infrangere l'accerchiamento che minacciava la stabilità della Francia, iniziò una lotta disperata, e che durò quarant'anni (1521-1559) e di cui l'Italia fu il teatro più sanguinoso. 

Nel tentativo di separare la corona d'Austria da quella di Spagna, il re francese aprì le ostilità contro il suo rivale compiendo alcune scorrerie nelle Fiandre. Carlo V si impadronì del Ducato di Milano (1522) che fu restituito agli Sforza. Francesco I scese allora in Italia per riconquistare Milano, ma nella Battaglia di Pavia (1525)fu sconfitto e fatto prigioniero. Partendo per la Spagna, il sovrano comunicò alla madre il suo drammatico destino con la celebre frase: «Tutto è perduto, fuorchè l'onore e la vita che è salva». Un anno dopo potè riavere la libertà, firmando il Trattato di Madrid (1526) e consegnando i propri figli come ostaggi. Appena tornato in Francia, Francesco I preparò la sua rivincita. Egli riuscì ad organizzare la lega di Cognac (1526) alla quale aderirono 

l'Inghilterra, Milano, Venezia, Firenze e il nuovo Papa Clemente VII (1523-1534) della Famiglia dei Medici. Obiettivi principali della lega erano la liberazione dei figli del re di Francia, la conservazione dello Sforza nel Ducato di Milano e la cacciata degli Spagnoli dall'Italia, ove si voleva ristabilire l'equilibrio del 1494. Carlo V, sdegnato per l'adesione del Papa alla coalizione antispagnola, fece calare in Italia un esercito di 15.000 Lanzichenecchi, mercenari tedeschi, in gran parte luterani fanatici, che puntarono su Roma depredando e distruggendo. Sbaragliarono l'esercito della lega, comandato da Giovanni dalle Bande Nere, ultimo capitano di ventura, così chiamato per aver cambiato in nere le insegne bianche della sua compagnia dopo la morte di Leone X, suo zio. 

Penetrati nell'Urbe, i Lanzichenecchi si abbandonarono a un saccheggio pauroso, il Sacco di Roma del 1527, mentre Clemente VII si trincerava in Castel Sant'Angelo, solo grazie alla resistenza e al sacrificio dell'intera Guardia Svizzera. I Fiorentini approfittarono delle sventure del Pontefice per cacciare i Medici dalla città e proclamare nuovamente la Repubblica (1527). Clemente VII, abbandonato da tutti, si riconciliò con Carlo V e lo incoronò imperatore nella Basilica di San Petronio a Bologna (1530) e ottenne il ritorno dei Medici a Firenze. I Fiorentini opposero un'eroica resistenza alle truppe imperiali e pontificie. Alla fine nonostante l'eroismo di Francesco Ferrucci a Gavinana (1530), dovettero capitolare per il tradimento di Malatesta Baglioni e subire il governo di Alessando dè Medici. 
La guerra tra Francia e Spagna, continuata da Filippo II e da Enrico II, terminò con la vittoria spagnola di San Quintino (1557), riportata da Emanuele Filiberto di Savoia e seguita dalla Pace di Chateau-Cambresìs (1559). 

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